Entomologia applicata: Il triangolo di Ghilardi

Entomologia applicata: Il triangolo di Ghilardi

Una volta acquisita qualche nozione di entomologia dobbiamo trovare il modo di applicare i concetti al mondo reale partendo da un concetto: cosa vede il pesce?

Sappiamo che gli insetti hanno forma e colore a seconda delle stagioni e che noi utilizzeremo un artificiale costruito per simularli ed ingannare il pesce e quindi abbiamo bisogno di una mini guida o come si diceva una volta un “bigino” che ci dia delle indicazioni di massima.

Il maestro Sandro Ghilardi ha ideato quello che è noto come il “triangolo di Ghilardi” che ci aiuta a capire che artificiale il pesce predilige e che colorazione è la più adatta per ogni periodo dell’anno.

Il concetto alla base dell’idea di Ghilardi è chiamata da lui stesso “impressionismo funzionale“. Impressionismo perché l’artificiale deve imitare un insetto e funzionale perché deve avere delle funzioni particolari per quello che deve fare: catturare l’attenzione del pesce. Le mosche belle da vedersi potrebbero non interessare al pesce e quindi essere solo oggetti da ammirare che sono più simili al concetto di modellismo che a quello di oggetto per catturare una trota.

Leggiamo insieme il disegno. In basso troviamo le tre tipologie di insetti principali che sono effimere, ditteri e tricotteri, le nostre imitazioni sono stilizzate ma quello che più conta è come il pesce vede l’insetto vero e dovrebbe vedere il nostro artificiale.

I colori del grafico indicano quali sono i colori più comuni che i pesci si trovano a vedere secondo le stagioni. La vegetazione, la quantità di luce, ma soprattutto l’effetto che ha l’ambiente sui colori degli insetti. Una effimera che è stata al sole assume colori rossastri etc.

Lascio direttamente a Sandro Ghilardi in un video del club Fly Angling Club Milano del quale è uno dei soci fondatori (e del quale mi onoro di far parte) spiegare passo passo come funziona il suo “triangolo”:

Riporto inoltre il bellissimo articolo di Paolo Robaudi sul Corriere della Sera (solo perché non venga un domani cancellato o risultare inaccessibile) dove Sandro Ghilardi si racconta.

Sandro Ghilardi, 86 anni, l’artigiano della pesca: «Prendevo i lucci al Corvetto e facevo le “mosche” per Enrico Mattei»

Varcando la soglia del suo negozio storico, in zona Conciliazione, si vede Sandro Ghilardi, 86 anni, intento a fabbricare mosche e canne da pesca artigianali per i suoi clienti affezionati. Fin da ragazzo Sandro ha lavorato in due negozi leggendari per i milanesi appassionati di sport: Bramani prima, Ravizza poi, fino ad aprire la sua insegna in via Alberto da Giussano nel 1968. All’epoca i negozi sportivi a Milano erano approdo per pochi privilegiati e si contavano sulle dita di una mano: oltre a Ravizza e Bramani c’erano Brigatti, Italo Sport e pochi altri, alcuni addirittura aperti dalla metà del XIX secolo. Maestro riconosciuto nel suo settore, Sandro incarna perfettamente il carattere del milanese di razza: schietto, diretto e con la battuta sempre pronta. In dialetto, s’intende.

Come ha iniziato?
«Ho cominciato come commesso da Bramani in corso Monforte, il negozio di sci e alpinismo dei proprietari della Vibram. Venivano da me personaggi come Lino Lacedelli e Achille Compagnoni (i primi a conquistare la vetta del K2, ndr) e Riccardo Cassin. Mi confrontavo con loro, pur non essendo un arrampicatore: io andavo a pescare e basta. Conosco l’Italia, l’Austria, l’ex Jugoslavia e altri posti solo per i fiumi. Andavo in Inghilterra con mia moglie: lei andava a Londra e io andavo per fiumi»

E da quando è riuscito a fare della pesca un lavoro?
«Da Bramani vendevo sci, scarpe da montagna, ramponi con le cinghie di cuoio, piccozze, corde, roba da escursione insomma. Poi a un certo punto mi cercarono da Ravizza, altro negozio storico in via Croce Rossa che adesso non c’è più. Lì mi fecero subito responsabile di negozio, e cominciai a specializzarmi nella pesca. Questo nel 1960, avevo 24 anni

E da quando è riuscito a fare della pesca un lavoro?
«Da Bramani vendevo sci, scarpe da montagna, ramponi con le cinghie di cuoio, piccozze, corde, roba da escursione insomma. Poi a un certo punto mi cercarono da Ravizza, altro negozio storico in via Croce Rossa che adesso non c’è più. Lì mi fecero subito responsabile di negozio, e cominciai a specializzarmi nella pesca. Questo nel 1960, avevo 24 anni».

In che zona di Milano è nato?
«In corso di Porta Ticinese, anzi al Gentilino. Da piccoli giocavamo tra le macerie. Raccoglievamo i proiettili delle mitragliatrici, toglievamo la pirite e la facevamo brillare: giocavamo così. Mio padre, Mario, era un ambulante: era il re della Fiera di Sinigallia. Andava in giro tutto vestito di bianco, l’era un sacrament. Ogni tanto arrivava il mitico commissario Nardone, che gli diceva: “Ué Mario, devi venire con me in commissariato!”. Perché magari aveva comprato roba rubata: era il dopoguerra… Il Nardone era un commissario amichevole. Mio padre vendeva condensatori, valvole, potenziometri, e c’erano tutti gli sbarbati che si compravano quelle robe lì per farsi le radio. E io da ragazzino andavo a “curare” che nessuno si rubasse niente. A 15 anni andavo a Porto di Mare a pescare i lucci nel laghetto artificiale. Tornavo a casa in tram da Corvetto, con il luccio in vista. Tutti mi facevano i complimenti e mi dicevano: “Uè nani, se l’è bell!”».

Che ricordi ha della Milano degli anni 50?
«Lavoravo come un matto! Ci eravamo trasferiti in piazza del Carmine, a Brera. All’epoca si usavano ancora le ghiacciaie. Andavamo alla fabbrica del ghiaccio in via Palermo con il furgoncino foderato di zinco, spaccavamo i “pani” in quattro pezzi e li portavamo nelle case dei sciuri, in zona Castello e dintorni, per 100 lire al giorno. Ai tempi in curs Garibaldi gh’era il Vagun, era un’osteria dove la sera si ballava. “Alúra se diseva: Ué andemm a balà, andemm al Vagun!”. Si chiamava così perché era minuscola: come un vagone dei treni».

E negli anni 60?
«Per me era già cambiato molto. Come direttore da Ravizza guadagnavo 200 mila lire al mese, quando gli stipendi medi erano di 30 o 40 mila lire. “S’eri diventà anca mi un sciur”, anch’io ero diventato un signore! Nei miei negozi girava una clientela facoltosa e lavoravo sempre molto. Poi ho avuto due mogli e quattro figli. Mio padre invece era un “blaguer”, un bugiardo cronico, faceva impazzire mia madre. D’estate andava fino a Landriano, dove c’erano le “anguriere”, in bicicletta, per i campi: ciucco (ubriaco, ndr), con la chitarra in spalla e la morosa sulla canna. Una volta la gente faceva l’amore. Nel dopoguerra era così. Si viveva».

Com’era Enrico Mattei?
«Gli facevo le “mosche” (le esche, ndr) per andare in Lapponia a pescare. Mattei l’avevo conosciuto tramite un collega che aveva un negozio in via Camperio. Questo negozio era frequentato da Peppino Meazza e da Charlton Ritz, quello degli alberghi. Era un grande pescatore, Mattei, come tutto il bel mondo milanese: la caccia e la pesca erano una scusa per sfuggire dagli impegni. In via Camperio fu fondata la Federazione della Pesca. Nata con un ricatto: oggi si può dire, tanto è successo 65 anni fa… Le grandi famiglie dell’aristocrazia milanese, i Visconti, i Borromeo, i Belgiojoso, avevano avuto direttamente da Maria Teresa D’Austria le concessioni per lo sfruttamento delle acque. A un certo punto entrò in azione un manipolo di pescatori, tra cui alcuni avvocati ed esperti di legge. Studiarono i “papier” di queste antiche concessioni e trovarono il “vulnus”: le grandi famiglie avevano sì il diritto allo sfruttamento dei corsi d’acqua, ma avevano anche dei doveri da adempiere, e quelli non li avevano mai rispettati. Quindi si raggiunse un compromesso tra le due parti. Da allora i tesserati hanno il diritto di pesca nelle riserve».

Come funziona oggi il suo negozio?
«Una volta il venditore era l’esperto: provava per primo il prodotto e poteva giudicare. Tutti i grandi negozi di sport, fotografia eccetera erano luoghi di ritrovo per professionisti e appassionati. Oggi, con gli acquisti online, gran parte di tutto questo è andato perso. Io pago le tasse e finché il negozio si ripaga rimarrò qui, una volta veniva anche mia moglie. Ho diviso il negozio in due parti: abbigliamento tecnico di qua e laboratorio della pesca di là. Di fatto io sto sempre qua, tranne che nella stagione della pesca: da marzo a ottobre, la domenica, vado a pescare lungo i torrenti di montagna. Pesco con la mosca le trote, e poi le rilascio».

Che ne pensa della Milano di oggi?
«T’el disi in milanes: “Curen i gügiatt e buten via i gamisèi”, curano il filo e buttano via i gomitoli. Oggi governo e Comune curano le emergenze. Ma nessuno si occupa della manutenzione e della conservazione. Riempiono le buche, e intanto la strada sta marcendo. Tutte le cose belle vanno conquistate con il sacrificio, ma oggi tutti vogliono arrivare subito al dunque. E i giovani d’oggi “pescano” soltanto con la tastiera»